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LA
VITA E LE OPERE
Giuseppe Nicolò Bonfante nacque a Mussomeli il 2
novembre del 1804, la casa natia era in via La Rizza, all'angolo con l'allora
via Tabassi, denominata in seguito via Bonaventura Bonfante, in ricordo
dell'illustre figlio di Mussomeli, che eccelse per l'elevatezza del suo
pensiero, per la correttezza delle sue idee e delle sue intuizioni nell'ambito
della filosofia e della teologia.
Giuseppe Nicolò, sin da bambino, si distinse per il suo ingegno vigoroso e per
la mitezza del suo temperamento, frequentando, nelle ore libere dagli impegni
scolastici, la chiesa dei Monti, dedicata a San Gioacchino e a Sant'Anna, e
l'attiguo convento dei Riformati Minori, popolato allora da frati, eccellenti
nel sapere e lodevoli nelle virtù sacerdotali.
In seguito, a soli a 17 anni, indossato l'abito monacale, si recò a Palermo, ove
prese stanza nel convento di S. Antonino, il giovane Giuseppe Nicolò, maturando,
dopo riflessioni assennate, la sua vocazione alla vita conventuale, assunse il
nome di Frà Bonaventura nel convento di Santa Maria del Gesù, a Palermo.
Nell'Ateneo Palermitano, ebbe come maestro, negli studi filosofici, Mons.
Benedetto D'acquisto da Monreale, in qualità di professore del Diritto e
Filosofia Morale.
In seno alla scuola del D'acquisto, frequentata, in quell'epoca, dalle migliori
intelligenze siciliane, si distinse egregiamente l'allievo Bonaventura, fino al
punto da meritare la stima del maestro, esimio filosofo, e da divenire il
continuatore ed il perfezionatore della medesima scuola, dopo il decesso del
titolare, avvenuto per colera nel 1867.
II Bonfante non solo seppe felicemente interpretare il pensiero di sì illustre
maestro, mediante una esposizione chiara, capace di rendere percettibili, i
concetti riguardanti le verità trascendentali, in opposizione alle pretese
piuttosto artefatte ed assurde dell'indirizzo razionalistico, ma elaborò un
nuovo sistema nell'insegnamento filosofia), dogmatico e teologico.
Per quanta riguarda le idee innate, dissentì dal fondatore della scuola,
pervenendo alla conclusione che esse, permeate dal germe spirituale, che l'io
sviluppa in sé, danno corso alle essenziali nozioni che diventano idee
necessarie.
La coerenza nello sviluppare concetti ardui ed astrusi era tale, da elaborare
teorie filosofiche in grado di portare gli allievi non solo a capirne i
contenuti, ma da arrivare all'accettazione, in modo scientifico, delle verità
rivelate.
In riferimento alla necessità dell'insegnamento divino a beneficio dell'uomo,
evidenziò la validità della Chiesa Cattolica, che, quale depositarla della
verità di Cristo, è al di sopra delle sette eretiche prive di titolo capace di
dimostrare che esse sono originate da Dio.
Dei suoi profondi studi filosofici elaborò diversi libri, che, rimasti a livello
di manoscritti, purtroppo andarono perduti.
Alla competenza e genialità nel campo speculativo, accoppiò il gusto e la
conoscenza delle umane lettere.
A pochi anni di distanza dall'aver ricevuto l'ordine sacerdotale, divenne
Provinciale della comunità di appartenenza.
Padre Bonaventura si distinse pure nella qualità di Commissario Visitatore
Generale, con specifico incarico, portato a termine con diligenza, di
sorvegliare le congregazioni di Sicilia dell'Ordine dei Frati Riformati.
Degli esempi della sua laboriosità di quel periodo, una lapide marmorea posta, a
sinistra entrando, nella chiesa di Santo Antonino di Palermo, sita tra la Piazza
Giulio Cesare e la via Tukory, ricorda ancora i suoi interventi in favore
dell'edificio sacro.
Risonava ai suoi tempi, nell' Università, la dotta parola di Benedetto
D'Acquisto, alla cui scuola si formò il giovane frate; e tanto egli eccelse per
vigoria di pensiero e di dialettica, che dalla stessa cattedra del maestro dettò
sovente lezioni di filosofia e teologia. Bentosto gli venne affidato l' ufficio
di Provinciale, e sotto il suo governo si accrebbero e si restaurarono le
fabbriche del convento, come ricorda un'altra iscrizione lapidaria presso la
porta della chiesa. Più tardi fu nominato Commissario Visitatore Generale, col
mandato di sorvegliare e d'ispezionare in Sicilia le congregazioni dell'Ordine,
e nel 1869, Rettore del Collegio S. Rocco, che lasciò dopo un anno con grande
rammarico dei giovani. Al convento di S. Antonino era un continuo affluire di
fedeli, ricchi e poveri, che volevano da lui essere confessati e consigliati.
Nel colera del '37, portò spontaneo e provvido conforto ai poveri ammalati,
dando prova di così alta pietà ed abnegazione che il Governo gli conferì, per
riconoscenza, la croce di Cavaliere, di cui non si fregiò mai. E quando, nel
1860, Garibaldi, già entrato a Palermo, seppe dai suoi intimi, Crispi, Albanese
e Pantaleo, della dottrina e della virtù di quest'umile frate, volle portarsi al
convento per conoscerlo, ed ebbe per lui parole di omaggio. Fu componente del
tribunale di Monarchia, insieme a Mons. Guarino e a Mons. La Vecchia, che poi
furono, l'uno Arcivescovo di Messina e Cardinale, e l'altro Arcivescovo di
Siracusa. La modestia non gli permise di accettare più alti posti, e di dare
alle stampe alcune opere, rimaste manoscritte; ma ragione di più per parlarne in
queste note, nella speranza che se ne serbi più a lungo la memoria; morì a
Mussomeli il 26 Febbraio 1894.
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