Paolo Emiliani Giudici

Letterato, Storiografo, il più insigne ed illustre mussomelese

 Testo tratto da: cronache del 1812-1900 MUSSOMELI NEL SECOLO XIX° di Giuseppe Sorge               

Il 14 Agosto 1872 a Tumbridge, nella sua dimora di Hasting, presso Londra, e propriamente entro il palco di Silver-Hill, morì l'illustre storico della letteratura italiana, Paolo Emiliani Giudici, nato a Mussomeli, il 3 Giugno 1812, da Salvatore Giudici e da Antonina Cinquemani. Molti hanno scritto della parte che egli ebbe nello studio delle lettere e delle arti, ma coloro che più specialmente trattarono della sua vita furono i siciliani Mario Villareale in un discorso letto, l'anno stesso della morte, ad una festa scolastica del Liceo Vittorio Emanuele di Palermo; Francesco Guardione in un discorso che fa seguito a quello pronunziato nel '903 da G. A. Cesareo per l'inaugurazione del busto nell'Università di Palermo; Giuseppe Sola in un articolo del giornale il Solco 15 Novembre 1912, ed Emanuele Scolarici nel suo libro Paolo Emiliani Giudici  "La vita e le opere". Mi limiterò, quindi, per gli scopi di questa pubblicazione, a riassumere i tratti principali della sua vita. Fin da giovanetto, egli, indotto a vestire l'abito domenicano nel convento del luogo, ove primeggiava per intelligenza il Baccelliere Giudici, suo zio, si occupò di lettere e di arte, fino a scrivere due tragedie sconfessate poi da lui stesso e a dipingere qualche quadretto. Da Mussomeli passò nel convento di Palermo, ove insegnò filosofia tomistica ai giovani novizi. Nello stesso tempo, studiando sui libri che gli apprestavano le biblioteche e sulle più belle opere d'arte che possedevano le chiese e i palazzi, si formò quel corredo d'erudizione che lo rese illustre nella storia e nella critica letteraria ed artistica. E già a Palermo, mentre si dilettava a disegnare, a dipingere e ad incidere, scriveva, nelle Effemeridi scientifiche e letterarie della Sicilia, le sue impressioni critiche su Alberto Durer, sullo Zoppo di Cangi, su Vincenzo La Barbera, su Vincenzo Riolo, su Matteo Stommer, su Salvatore Lo Forte e su altri pittori insigni. Intollerante della rigida disciplina claustrale, venne bentosto in dissidio con i suoi superiori e compagni, a tal segno, che, sotto il pretesto di motivi di famiglia, s'indusse a chiedere la secolarizzazione del suo stato ecclesiastico, che ottenne, con la conseguente autorizzazione di lasciare il convento e di vestire l'abito di, prete. Né tardò, per le sue idee liberali, a venire in sospetto del governo borbonico. A Palermo, aveva conosciuto il Cav. Annibale Emiliani, un liberale, un emigrato dalla Toscana, che lo prese a voler bene, e che in questo suo travaglio di coscienza lo aiutò a fargli lasciare la Sicilia, per luoghi più liberi ed ospitali. Fu così che Paolo Giudici arrivò a Livorno, il 26 Aprile 1840, e con la protezione del Cav. Emiliani, che lo adottò per figlio, andò a fermare stanza a Firenze, centro di studi e di cultura, non osteggiato dalla mitezza e temperanza di quel Governo. Ivi lasciata anche la veste ecclesiastica, attese alla pubblicazione della sua Storia delle belle lettere in Italia, titolo che nelle ulteriori edizioni cambiò in quello di Storia della letteratura Italiana. L'opera così riformata fu data alle stampe, nel 1855, in 20.000 esemplari, senza contare i compendi che se ne fecero ad uso delle scuole e il nome di Paolo Emiliani Giudici si sparse allora per l' Italia e per l'estero, come storico e letterato di valore. Pubblicò in seguito una traduzione della Storia d'Inghilterra di Lord Macaulay, la Storia dei Municipi, d'Italia, rifusa e completata poi, nel 1863, col titolo di Storia dei Comuni italiani, e il romanzo Beppe Arpia, che non è certo la sua opera migliore. Fra le sue pubblicazioni sono anche da notarsi uno studio su Gian Vincenzo Gravina, la monografia Sui poeti lirici d'Italia, la traduzione dall' inglese della Narrazione delle Fortune e della cessione di Praga di Ugo Foscolo, e molti articoli nei giornali italiani e stranieri. Ultima sua opera, stampata nel 1869, fu la Storia del teatro in Italia, densa d'erudizione e di folklore, che disgraziatamente non venne continuata oltre il periodo della rappresentazione sacra; ed opere iniziate, che non giunsero alla luce, sarebbero la storia dei pittori siciliani che egli disse d'avere intrapresa, quando dovette sconfessare la pubblicazione fatta, sotto il suo nome, d'un Essay on Sicilian Painters; e lo studio su Michelangelo e i suoi tempi, che, come scrisse al fratello Giuseppe, costituì l’occupazione degli ultimi anni di sua vita. Il Giudici è da,segnalarsi, non meno, nell'insegnamento e nelle cariche pubbliche affidategli. Dopo avere rifiutata una cattedra all'Università di Pisa, offertagli dal Gran Duca, quando un'offerta simile gli venne fatta dal Governo italiano, accettò, di buon grado, la nomina di segretario e di professore d'estetica nell'Accademia fiorentina di Belle arti, per cui venne spesso a far parte d'importanti commissioni artistiche. Nel 1867, come abbiamo accennato, venne eletto Deputato al Parlamento nel collegio di Serradifalco, carica che egli non sollecitò con i mezzi allora in uso, ma che accettò come un dovere, e lasciò senza rimpianto, quando i capricci dell' urna gli furono contrari. Avendo sposato l'inglese Anna Allsp, passò gli ultimi anni di sua vita viaggiando e fermandosi a preferenza in Inghilterra, ove morte lo colse. Venne sepolto nel piccolo cimitero di Ore, presso Harting; ed è a rimpiangere che nessuno abbia pensato di fare trasportare la sua salma a Firenze o a Palermo, ove riposano, nel sonno eterno, i grandi del suo tempo, con i quali ebbe fervida comunanza d'idee e di sentimenti.

A mussomeli è stata intitolata a sua nome la via della casa che gli ha dato i natali, dove sono state apposte due lapidi commemorative.

Da ricordare che esordì in narrativa con il romanzo sociale “Beppe Arpia” (1852), polemico e ricco di riferimenti alle vicende contemporanee. La sua opera maggiore viene considerata la “Storia delle belle lettere in Italia” (1844, poi “Storia della letteratura italiana”, 1855), primo quadro critico di impostazione storicistica, in parte legato agli schemi del classicismo.

 E’ stato autore anche di un commento alla “Commedia” di Alighieri (Divina Commedia, 1846) e di una incompiuta “Storia del teatro d’Italia” (1860).

 

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LE OPERE LETTERARIE

 

-Storia delle Belle Lettere in Italia, 1844
-I quattro poeti italiani con apposite   prefazioni e commento di P. Emiliani Giudici, 1845
-Florilegio dei lirici più insigni d'Italia preceduto da un discorso di P. Emiliani Giudici, 1846
-Beppe Arpia, 1851
-Storia dei Municipi italiani, 1851-1855
-Storia della Letteratura Italiana, 1855
-Storia del Teatro, 1860
-Storia dei Comuni Italiani, 1864-1866

 

 

 

 

 

 In alto  I quattro poeti italiani:

 Dove l'autore Paolo Emiliani Giudici parla della Divina Commedia di

 Dante Alighieri dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, de

 La   Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso e di Le Rime di

 Francesco Petrarca.

 

 In basso Storia della letteratura Italiana composta da due volumi

 che rappresentano la massima espressione dell'autore siciliano.

 Nella foto si vede un disegno che lo ritrae, e in basso l'autografo.